Norberto Bobbio
Molto pubblico, rivaltese e non solo, a Palazzo Bruni la sera del 18 febbraio per ascoltare la conferenza del Senatore Pietro Marcenaro, Presidente della Commissione Straordinaria per la promozione e la tutela dei diritti umani del Senato della Repubblica, sul tema 'Norberto Bobbio e i diritti universali'.
L'iniziativa è una delle centocinquanta organizzate nel Paese dal Partito Democratico in occasione del 150° anniversario dell'Unità d'Italia.
Il Senatore Marcenaro ha affrontato brillantemente, con ammirevole competenza e con notevole capacità di approfondimento un tema di certo tutt'altro che facile, spaziando dall'analisi dell'evoluzione storica dei diritti individuali, a come questi sono osservati e tutelati nei singoli Stati, e annotando in questo caso i notevoli progressi compiuti, complessivamente, negli ultimi trenta quarant'anni; approfondendo poi le complessità della contrapposizione che sovente si pone tra pulsione morale e necessità di legiferare stabilendo regole di giustizia per il bene comune, oltre che soffermandosi a livello universale, tra l'altro, sull'applicazione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
È vero, è stato detto, che Bobbio parlò per tale dichiarazione di "pia illusione"; ma è altrettanto vero, ha ricordato il figlio Andrea Bobbio nel suo intervento, che una nota di ottimismo (peraltro infrequente nel lavoro del padre) il filosofo - che a Rivalta riposa - la rilevò proprio nell'attenzione globale psta, ai nostri tempi, al tema dei diritti degli esseri umani.
Norberto Bobbio affrontò infatti il tema, con la consueta profondità, specialmente nel volume pubblicato nel 1990 da Einaudi, 'L'età dei diritti', anche significando che il rispetto dei diritti deve essere la base stessa della democrazia, condizione necessaria per la pace: come hanno pure ricordato, portando i propri saluti, il Sindaco di Rivalta Bormida Walter Ottria, il Vicesegretario Regionale PD Piemonte Federico Fornaro e il Segretario Provinciale PD Alessandria Daniele Borioli.
La commemorazione del sindaco di Rivalta al Consiglio Provinciale
Bobbio, oltre ad essere un grande intellettuale, era un uomo semplice e si stava bene in sua compagnia.
Quando il Comune di Rivalta nel 1995 gli ha proposto la cittadinanza onoraria, ha accettato allegramente.
Anche in quell'occasione ha dimostrato di avere un forte attaccamento al paese della sua infanzia, unito ad una coerenza interiore che lo ha portato a una riflessione profonda sull'uomo.
Nell'intervento Bobbio ha ricordato così i momenti della sua infanzia:
"A Rivalta giocavo con i bambini del paese che non sapevano parlare italiano, andavano scalzi, erano vestiti con una camiciola e con calzoncini tenuti su con lo spago. Non ho mai sentito alcuna differenza tra noi, i signori, e loro, i contadini, tra cui c'era una grande mortalità infantile.
Ho imparato che gli uomini sono eguali. Sono più eguali che diversi".
Rivalta rappresentava per lui il paese della nostalgia, delle proprie radici, della semplicità nella gente comune: "E' bene mantenere le proprie radici. Guai agli sradicati. Le radici si hanno solo nel paese d'origine, nella terra, non nel cemento delle città."
Oggi che, nella vita pubblica e privata, si tende a dimenticare o a rinnegare il proprio passato, questa immagine è particolarmente attuale.
Bobbio è stato anche lontano dalla vanità umana, lontano dal prototipo dell'italiano, e disse: " Non mi sono mai considerato un uomo importante. Ho sempre guardato in alto e non in basso. Mi considero soprattutto un uomo fortunato. Fortunato per la famiglia in cui sono nato …... fortunato perché ho trascorso indenne il corso della terribile storia del XX secolo, indenne quando molti amici hanno sofferto prigionia e tortura, l'occupazione tedesca e la guerra civile. Dimentichiamo, ma non confondiamo, chi è stato dalla parte giusta e chi da quella ingiusta, anche se chi è stato dalla parte giusta ha commesso ingiustizie".
In questi anni, come presidente dell'Associazione dei piccoli comuni dell'acquese per il servizio socio-assistenziale, molte volte ho pensato a lui e a una sua frase: "Ho già avuto mille occasioni di ripetere che oggi il compito principale di un'azione politica che voglia essere qualcosa di più e di meglio che un impadronirsi del potere per soddisfare interessi personali o di gruppo, di "lobbies" come si dice, più o meno lecite, è quello di interpretare i nuovi bisogni e i nuovi diritti, specie di coloro che le nostre società in rapida espansione tendono a trascurare. Non esistono, purtroppo, le lobbies dei vecchi non autosufficienti, né in genere di tutti coloro che la società affluente tende a mettere ai margini ….".
Questa sensibilità sulle condizioni degli anziani e il modo di intendere l'azione politica fanno riflettere sulla sua capacità di esaminare la durezza della realtà e di vedere con lucidità l'inefficienza dello stato in Italia, ma nonostante questo Bobbio ha sempre creduto nei valori della democrazia e del riformismo.
L' ho visto per l'ultima volta in occasione dei funerali della moglie, nel 2001, quando solo con i figli depose le ceneri al cimitero di Rivalta, provava un dolore profondo, ma al contempo una grande dignità, un dolore affrontato con coerenza intima e consapevolezza.
Al cimitero si fermò davanti alla lapide di un suo avo, la lapide recava una scritta che terminava con la frase "cavaliere senza macchia e senza paura", espressione che lo fece sorridere.
Non dimenticherò mai le sue ultime volontà:
"Funerali semplici, privati, non pubblici. Alla morte si addice il raccoglimento, la commozione intima di coloro che sono più vicini, il silenzio….. nessun discorso. Non c'è nulla di più retorico e fastidioso che i discorsi funebri …. Sulla lapide soltanto nome e cognome, data di nascita e di morte, seguiti da questa unica dicitura "figlio di Luigi e di Rosa Caviglia". Mi piace pensare che sulla mia lapide il mio nome compaia insieme a quello dei miei genitori. Mio padre, Alessandrino, è stato il capostipite dei Bobbio di Torino, la tomba è stata fatta costruire da lui nel paese, che ha molto amato, di sua moglie. Il mio nome, unito a quello dei miei genitori, oltretutto, dà il senso della continuità delle generazioni."
Una lapide al contempo essenziale e sentimentale, un richiamo alle proprie radici famigliari per un uomo semplice, autentico, un vero italiano.
La cerimonia funebre
Appunti letti dal figlio Andrea durante la cerimonia funebre
9 gen. 2004 (Adnkronos) - E' morto a Torino Norberto Bobbio. Il grande filosofo e senatore a vita, che aveva 94 anni, si e' spento alle 17 all'ospedale Le Molinette di Torino ...
Scritti il 4 luglio del 1995, alcuni giorni prima che questo comune gli assegnasse la cittadinanza onoraria, questi appunti costituiscono il testamento letterario lasciato da Bobbio al paese della sua gioventù, di sua madre, e dove il padre esercitava la professione di medico.
"Mi avete fatto un grande piacere, un grande onore, ma mi avete messo un po' in soggezione, anche la banda, che è una delle espressioni più belle, genuine, tradizionali del paese di Rivalta.
Bisognerebbe scriverne la storia. I miei ricordi risalgono molto lontano. Dopo la guerra mondiale ce n'erano.
I cattolici e i laici
La banda che suonava alta nel piazzale vicino a casa
Rivalta paese musicale: il coro in chiesa (l'oratorio)
E' la prima volta che vengo accolto dalla banda.
Non mi sono mai considerato un uomo importante. Ho sempre guardato in alto e non in basso. Mi considero soprattutto un uomo fortunato.
Fortunato per la famiglia in cui sono nato. Fortunato per la famiglia che Valeria ed io abbiamo costruito più per merito di mia moglie che mio, per i professori per gli amici ed i discepoli che ho avuto e, perché no, per questo paese pacifico e laborioso in cui ho passato tanta parte della mia vita.
Fortunato perché ho trascorso indenne il corso della terribile storia del secolo XX.
Indenne in quanto molti hanno sofferto prigionia e tortura.
(Fortunato) Anche per gli anni cui sono arrivato un po' malandato ma ancora in grado di gustare la musica della banda di Rivalta.
Non mi sono mai preso sul serio.
Bisogna guardare anche a se stesso con distacco ed ironia.
La lunga fabula della mia vita.
Il futuro passa dal paese.
B. Croce, un maestro della nostra generazione, diceva molto saggiamente che bisognava avere amore delle cose, non di se stessi, che quanto più si amano le cose cioè l'opera , le opere, tanto più si riesce a distaccarsi da se stessi.
Con gratitudine e con imbarazzo, ma forse il sentimento più bello è la commozione.
Questo ritorno a Rivalta ha aperto la strada ai ricordi dell'infanzia .
Sono ricordi più teneri. Oggi dimentico quello che ho fatto il giorno prima . Anche (i giorni) più felici. I ricordi dell'età dell'innocenza , dell'inizio della grande avventura , del viaggio di scoperta del mondo protetto dal calore degli affetti .
I miei ricordi Rivaltesi risalgono molto indietro .
1914 la morte di zio Luciano.
La famiglia di mia madre.
La prima guerra mondiale e l'acquisto della casa nel 1916 : Albergo Tripoli.
La festa di San Domenico.
Il gioco del pallone.
Le scorribande verso la collina, il fiume e le gite in bicicletta .
La II guerra mondiale . L'occupazione tedesca e i partigiani. La guerra civile.
Dimentichiamo, ma non confondiamo, chi è stato dalla parte giusta e chi da quella ingiusta, anche se chi è stato dalla parte giusta ha commesso ingiustizie.
Per finire : permettetemi di fare alcune considerazioni finali di carattere generale (deformazione professionale del professore)
1) E' bene mantenere la proprie radici. Guai agli sradicati. Le radici si hanno solo nel paese d'origine, nella terra, non nel cemento delle città. ()
O terra dei miei vivi
O terre dei miei morti
Se la mia fè ravvivi
Il mio dolor conforti
O terra ove desio
Morir per sempre anch'io.
2) Solo nel paese esiste il prossimo . Tu non puoi amare tutti, se non molto in astratto. Puoi amare solo il prossimo. In una città non c'è prossimo. C'è quello che oggi si chiama la gente. (Ama la gente come te stesso).
(Maria che raccontava tutto quello che era successo. Ciò che noi chiamavamo cronaca )
3) A Rivalta giocavo coi bambini del paese che non sapevano parlare italiano, andavano scalzi, erano vestiti con una camiciola e con calzoncini tenuti su con lo spago. Non ho mai sentito alcuna differenza fra noi , i signori, e loro, i contadini, tra cui c'era una grande mortalità infantile.
Ho imparato che gli uomini sono eguali . Sono più eguali che diversi. ( Ho imparato) A dire no a ogni forma di razzismo, di odio di clan o di razza, la malattia che infesta il mondo . ( Ho imparato) Che se una madre di una tribù africana piange e si dispera per la morte del bambino morto, piange nella stesso modo con cui piange una madre italiana o americana.
Tornando al principio: ho imparato che non bisogna darsi troppo arie, e anche quando c'è la banda che suona per te, sei uno per cui verrà l'ora in cui anche per te, come per tutti gli altri, suonerà non la banda ma la campana.
(Nella foto: Norberto Bobbio durante la cerimonia del millenario della fondazione del Paese).
Lettera di Cesare Pavese
Pavese fu ospite dei Bobbio a Rivalta Bormida.
Destinataria di questa lettera è la madre di Norberto Bobbio, compagno di liceo di Pavese.
Torino, 12 settembre 1931
A Rosina Bobbio Caviglia
Rivalta Bormida
Gentile Signora,
ora che sono tornato a richiudermi a Torino comprendo di più la piacevolezza del soggiorno a Rivalta e la Sua cortesia che mi rendeva questo soggiorno incantevole.
L'unico pensiero che mi guasta un po' il ricordo è che ormai questo soggiorno sia finito. Comunque, mi è facile rassegnarmi pensando al disturbo che debbo aver arrecato costi, e di cui La prego ancora di scusarmi. Credo che Betino, tirerà finalmente un respirone riprendendo possesso dei suoi appartamenti. Anche da parte di mia sorella La ringrazio del gentile dono campagnolo che più davvicino mi ricorderà l'ospitalità di Rivalta.
Al Professore, a Betino e a tutti i villeggianti che ho conosciuto. La prego di ricordarmi e a Lei presento i miei più vivi ossequii e ringraziamenti.